Marathon des Sables '25: Il Racconto.

Marathon des Sables '25: Il Racconto.

Storie Gare

Marathon des Sables '25: Il Racconto.

Il resoconto della 39esima MdS "The Legendary": 4 amici, 250 Km, 6 Tappe in autosufficienza, 1 Deserto del Sahara.

Mi è molto difficile ammetterlo ma come ho già detto: qualcosa si è rotto e penso di non essere più lo stesso.

Già alla Western States 100 del 2023 e ancora di più a Badwater 135 del 2024 non mi sono sentito più adeguato. Era come se la mia mente continuasse a ragionare come ha sempre fatto, fissandomi obiettivi via via più ambiziosi: stare sotto le venti ore a Western e sotto le trenta a Badwater. Mentre il mio corpo iniziava a non volerne più sapere di soffrire per questi obiettivi. Non ho più “sentito la musica”, quella energia unica che si sente solo quando stai correndo per raggiungere i tuoi sogni.

Oltre a ciò, si sono aggiunti problemi fisici che non ho mai avuto, prima un menisco, poi l’altro, che mi hanno fatto seriamente pensare di non poter più correre, impedendomi pianificare qualsiasi nuovo obiettivo e relativi allenamenti. Per fortuna la passione per il mio lavoro con Wild Tee mi appassiona e mi assorbe completamente lasciandomi poco tempo per commiserarmi.

So bene che questi non sono i “grandi problemi” della vita ma è innegabile che per me la libertà di correre abbia un’importante rilevanza. È una delle poche cose di cui sono molto orgoglioso di me stesso. Mentre rivedo i racconti delle gare per il podcast che voglio fare da almeno tre anni, mi rendo conto di quanto la mia situazione sia cambiata.

Sto invecchiando ed è molto difficile accettarlo.

Nel momento peggiore della mia “carriera atletica” è arrivato, però, il giorno di onorare una promessa fatta ad un mio grande amico, Simone, conosciuto proprio grazie alla mia prima Marathon des Sables, nel 2018. Per lui era, finalmente dopo tanti anni di attesa, giunto il momento di affrontarla, ma io ne sarei stato all’altezza? Sarei stato, di nuovo, in grado di correre 250 Km in autosufficienza nel deserto del Sahara dormendo per terra per una settimana?

Con zero possibilità di allenarmi, dati gli interventi ai menischi, ho dovuto fare un grande bagno di umiltà e lasciare perdere qualsiasi sogno di fare bene in gara.

Per fortuna, oltre a me e Simone si sono aggiunti anche Luca e Floriano, formando così un team (“NOT NOW”) un po’ improvvisato e come si suol dire: “mal comune mezzo gaudio”.

Lavorando quasi tutti nel settore, però, in men che non si dica mettiamo a punto dell’attrezzatura di prim’ordine. Floriano, Global Running Brand Manager in Diadora coinvolge il brand nel progetto e fornisce le scarpe, oltre a un budget per la realizzazione di contenuti. Grazie al quale riusciamo a coinvolgere Giulia Bertolazzi, per girare un documentario dell’avventura (arriverà). Luca, co-proprietario di Runaway, ci mette in contatto con Roberto di DangerGrizzly con il quale studiamo un super zaino adeguato all’occasione. Io, facendo tesoro di tutta la mia esperienza, preparo un kit di abbigliamento ultra-leggero personalizzato, disegnato e prodotto da Wild Tee. Con il mio vecchio amico e calzolaio Marco Zanchi realizziamo delle ghette apposite da integrare direttamente nelle scarpe che Diadora ci fornisce scollate. Grazie ad Andrea, un amico corridore, entriamo in contatto con Akta, una nuova realtà italiana di pregio che produce cibo liofilizzato biologico di altissima qualità.

Il tempo passa velocemente, continuo a sentirmi inadeguato ma almeno abbiamo un’attrezzatura tutta italiana da far invidia ai team più blasonati!

Senza accorgermene, arriva il giorno della partenza. 

Uscendo da un periodo estremamente intenso di lavoro dormo praticamente tutto il viaggio aereo e le dodici ore di pullman. D’improvviso ci ritroviamo in una giornata ventosa in mezzo alla sabbia del deserto del Sahara sotto una tenda berbera che sarà la nostra casa per una settimana.

Come ho già detto nel 2018: la MdS non è solo una gara, è un’avventura in una situazione unica a cui non siamo più abituati. L’organizzazione fornisce solo cinque litri di acqua al giorno e un telo sopra la testa, tutto il resto ce lo dobbiamo portare sulle spalle. Ho un bellissimo ricordo della prima volta che l’ho corsa e, con i mille dubbi che ho in testa, ho una paura tremenda di rovinarlo.

Per fortuna questa volta non sono solo e vedere il “disagio” degli altri miei compagni di “stanza” un po’ mitiga il mio.

Abbiamo ancora qualche ora per decidere cosa portare con noi, prima di consegnare la valigia che rivedremo solo tra sette giorni. È un momento cruciale in cui è facile farsi prendere dal panico. Ognuno di noi deve scegliere tra maggior comfort notturno/cibo e minore peso. Per quanto la nostra attrezzatura e il nostro cibo siano di altissimo livello (molto leggeri), lo zaino pieno per i sette giorni sembra sempre pesantissimo. Nei pochi allenamenti che sono riuscito a fare mi sono reso conto che la mia potenza lipidica (capacità di bruciare il grasso corporeo) non è più quella di un tempo e che le mie necessità caloriche sono sempre più alte, così decido di portare tutto il cibo che riesco a far entrare nello zaino. Sicuramente sarò penalizzato nelle prime tappe, ma non voglio soffrire troppo il freddo notturno e la fame nelle tappe finali, quando il cibo comincerà a scarseggiare.

Nella sezione tecnica dedicata (in fondo al racconto) troverete tutti i dettagli di cosa mi sono portato.

Lasciare la valigia per me, alla fine, è una liberazione, non devo più pensare a cosa portare o meno e quello che ho preso me lo devo far bastare. Voglio disconnettermi quanto più possibile dalla mia vita ordinaria, spengo e abbandono lo smartphone quando consegno la valigia.

L’organizzazione delle MdS è cambiata con l’edizione del 2024, il mitico Patrick Bauer non dirige più le danze e l’ultima cena prima dell’inizio della gara non viene più offerta, i concorrenti devono pensarci in autonomia, così ci godiamo l’ultima cena a base di bresaola e pane casalingo e siamo pronti per iniziare questa avventura.

Una cosa che avevo apprezzato della mia prima esperienza nel deserto era la necessità di adattarsi ai ritmi della natura e della luce solare invece che a quelli imposti dalla società. Si mangia presto, verso le 18:30, e alle 20:00 al calare del sole ci si corica per essere pronti a partire tra le 6:00 e le 7:00 a seconda delle tappe. Le partenze sono state anticipate rispetto al passato per evitare le ore più calde. Cosa un po’ strana in una gara famosa proprio per il caldo, ma tanto meglio.

Le tende che formano il cerchio del campo sembrano più vicine di quanto ricordassi, dando meno l’impressione di trovarsi in mezzo al deserto e più quella di essere in un villaggio vacanze, i 1009 concorrenti sono più giovani e molto più rumorosi. Avevo il ricordo, in parte idealizzato, di una specie di monastero fatto di tende, in cui ognuno era concentrato sulla sua esperienza personale e mi rendo conto di quanto, con i social media, il trail running e questa gara siano cambiati.

Questa volta faccio un po’ fatica ad adattarmi e mentre quasi tutti dormono vago per il campo godendomi la pace delle notti stellate nel deserto. Finalmente, dopo qualche ora il silenzio è assoluto e la volta celeste senza inquinamento luminoso sembra vicinissima, con la Via Lattea quasi a portata di mano. Comincio a pensare che sia valsa la pena venire fin qui.

Alla partenza della prima tappa, un loop di 32 Km con 312 m D+, sembra di essere ai campionati mondiali di mezza maratona. Tutti partono ad un ritmo folle con i loro zaini enormi e traballanti. Non ho nessuna idea di come il mio fisico e la mia mente reagiranno a questa gara e non voglio confrontarmi con gli altri, non voglio farmi influenzare neanche dal GPS, così parto per ultimo e imposto un ritmo prudente. Le sensazioni non sono delle migliori ma con un passo costante nelle fasi finali della tappa rimonto lentamente tanti concorrenti che cominciano a fare i conti con il deserto. 

Nonostante il peso del primo giorno lo zaino che abbiamo progettato è stabile e comodo. Dalle ghette integrate nelle scarpe non entra neanche un granello di sabbia. La maglia nel tessuto Race a maniche lunghe è fresca e leggera. Tutte le preoccupazioni relative all’attrezzatura sono svanite e non mi resta che concentrarmi su quello che amo di più: correre.

Non voglio pensare alla classifica e cerco di rivivere quella sensazione di serenità che deriva dal dover fare solo tre cose: correre, mangiare e riposare.

Fa piuttosto caldo e stare sotto il telo nero della tenda berbera nelle ore centrali della giornata è difficile, cerchiamo di muoverci il meno possibile per conservare le energie ma anche stando fermi si suda parecchio, dai buchi nella tenda la sabbia trasportata dal vento ci ricopre velocemente. Non è una situazione semplice e non mi ricordavo questi lati negativi. Per fortuna quando il sole cala possiamo uscire dalla tenda, il campo si rianima velocemente e possiamo sgranchirci le gambe.

Alla fine di questa esperienza voglio chiedere ai miei compagni quale sia la cosa che gli è mancata di più dalla civiltà. Nel mio caso la risposta è molto semplice: una sedia. Tra le tante comodità che ci mancano, la banale possibilità di stare seduti è quella che mi preoccupa di più. Sì, perché a parte quei due minuti al giorno in cui siamo seduti nei bagni da campo, per sette giorni non avremo la possibilità di farlo. Se ci pensate passiamo gran parte della nostra giornata seduti: al lavoro, in macchina o sui mezzi pubblico o in bicicletta, a tavola e sul divano. Disabituarsi improvvisamente non è facile e potersi sedere solo sulla sabbia non è la stessa cosa.

Il sole scende velocemente, accendiamo il fuoco e ci godiamo la nostra cena. Le buste liofilizzate di Akta sono veramente buone, le ricette proposte sono di piatti tipici italiani, riso e bisi, polenta taragna, cicerchia e scarola, maltagliati e ceci e pasta con lenticchie. Si preparano velocemente anche con acqua non bollente, cosa non facile da scaldare con il vento che soffia senza sosta. Siamo tutti convinti che saranno la nostra arma contro la fame. Io ne ho previste due al giorno ad esclusione del giorno della tappa lunga per il quale ne ho una sola. Durante i primi tre giorni integrerò con un po’ di parmigiano, di carne e frutta secca.

Alcuni di noi preoccupati del peso dello zaino hanno meno cibo ma corrono più leggeri. 

I miei compagni sembrano impazienti di coricarsi e alle venti sono già distesi sui materassini, temo che ognuno di loro sia a modo proprio in ansia per la situazione insolita in cui ci troviamo. Io, che ho sempre problemi ad addormentarmi, mi allontano dal campo con la frontale e passeggio oltre la “linea della pipì”, la circonferenza esterno alle tende in cui tutti la fanno che si ridurrà sempre di più nei giorni a venire, man mano che le gambe si fanno più stanche. 

Mi piace guardare le tende da lontano nel silenzio della sera, è come se prendessi un minimo di distanza dal fatto che stiamo pur sempre facendo una gara competitiva.

È la terza notte (le prime due sono di "acclimatamento") che dormiamo in questo campo e non vedo l’ora, con la tappa di domani, di spostarci e cambiare scenario. Il fatto che il campo non sia più itinerante come in passato in cui ogni notte dormivamo in un posto diverso ha tolto un po’ del fascino della carovana berbera itinerante che la MdS - The Legendary - aveva.

Lo spazio nella tenda per otto adulti non è molto e quando torno in tenda trovo il mio ridotto al minimo indispensabile dopo che i miei compagni si sono allargati. Durante la notte il vento soffia con delle raffiche sempre più forti che sembrano prendere a schiaffi il telo della tenda e ci fanno piovere addosso sempre più sabbia, anche chiusi nel sacco a pelo è difficile respirare senza ingerirla. Non dormo molto bene, dopo una veloce colazione e aver rimesso tutto nello zaino, siamo pronti a partire, o meglio gli altri sono pronti, io sono sempre in ritardo e mi dirigo alla partenza con gli ultimi. Non voglio partire davanti e farmi condizionare dal ritmo dei primi. Anche se la diminuzione di peso dello zaino è stata minima (300 grammi), l’impatto psicologico è importante e corro più disteso. 

Temo i dolori che mi hanno tormentato prima ad una gamba e poi a quella opposta per tutto l’anno scorso e mi concentro sul correre in modo omogeneo su entrambe le gambe. La sabbia con i suoi impatti morbidi sembra aiutare questo mio processo. La seconda tappa da 40 km e 614 m D+ è molto varia e mi diverto a recuperare posizioni cercando di ottimizzare il mio incedere a seconda del terreno e delle sue difficoltà. Mi ricordo bene di quella sensazione, è come correre su una superficie non adatta alla corsa che si inghiotte tutta la nostra energia senza restituirne alcuna. È inutile spingere eccessivamente quando la sabbia è fine e morbida, conviene muoversi con delicatezza conservando le energie per quando il terreno è più solido. Alcuni tratti rocciosi mi ricordano, finalmente, che questa è pur sempre una gara di Trail.

Più o meno a metà tappa raggiungo e riconosco Gemma, una concorrente inglese che avevo incontrato nel 2018. Le comunico che questa volta non farò l’errore che avevo fatto anni fa di superarla perché poi nella tappa lunga mi aveva dato un grosso distacco. In quella occasione lei era arrivata terza sul podio. Le dico che le avevo scattato una fotografia mentre guardava un’immagine dei suoi figli quando aspettavamo di partire con la seconda ondata della tappa lunga, si ricorda bene di quell’episodio. Potete trovare la foto nel racconto del 2018.

C’è molto vento contrario e decidiamo di alternarci a chi sta davanti. La strategia sembra funzionare e i chilometri passano veloci anche nell’interminabile rettilineo finale.

Quando arrivo al campo, stranamente, il campo non è ancora pronto per accoglierci, così mi sdraio sul tappeto in attesa. Non era mai successo che il campo non fosse pronto. Con la vecchia gestione i campi erano due e mentre noi dormivamo al campo 1, il campo 2 era già montato, poi il campo 1 si spostava al campo 3, proprio come un villaggio itinerante.

Abbiamo fatto solamente 72 km dei 250 totali ma l’atmosfera nella tenda 99 è più rilassata e la tensione dell’ignoto sembra essere scomparsa dal viso di Floriano, Simone, che lo affrontano per la prima volta. Caso a parte è Luca che, reduce da una brutta crisi durante la tappa, vuole ritirarsi e appena ci raggiunge dice che vuole chiamare un taxi, facendoci ridere tutti! È stato troppo sotto il sole e, dopo essere andato in infermeria scompare per due ore. Sapremo solo al suo ritorno che lo hanno messo in una vasca piena di ghiaccio per abbassargli la temperatura. 

Con i miei mille dubbi sul mio stato di forma fisica, sono preoccupato per la tappa da 83 Km che ci aspetta tra due giorni. Non voglio ripetere l’errore del 2018: tirare troppo le prime tre tappe ed avere poi delle grosse crisi che mi hanno costretto a rallentare e a perdere molto tempo nella tappa lunga.

Inaspettatamente siamo terzi nella classifica a squadre (media matematica dei tempi dei componenti del team), a pochi minuti dai quarti. Questo ci riempie di gioia ma sappiamo bene che è ancora lunga e tutto può succedere.

Nella terza tappa da 32,5k e 468 m D+, invece faccio molta fatica, non riesco a prendere il ritmo del giorno prima. Più spingo e più mi sembra che le mie gambe non reagiscano come dovrebbero. Cerco di non preoccuparmi e di tenere a mente che la gara è ancora lunga e tutto è possibile ma mi sembra di procedere molto lentamente, a conferma di questo alcuni concorrenti mi superano in un tratto non particolarmente impegnativo. Mi impegno a non prendere troppo distacco da loro e a mantenerli a vista, quando il percorso si inerpica su di una collina rocciosa, finalmente da quando siamo partiti i miei piedi possono spingere su una superficie solida. La salita non è molto lunga (circa 150 m di dislivello) ma piuttosto tecnica. Con mio grande stupore gli altri concorrenti sembrano in difficoltà su questo terreno soprattutto nella discesa successiva. Io, finalmente, mi trovo a mio agio e riesco a recuperare qualcosa. Sicuramente ho perso posizioni in questa tappa ma non so quante perché, stranamente, l’organizzazione non espone più le classifiche a fine tappa.

Fa sempre un po’ strano doversi portare dietro tutto per poi tornare esattamente da dove si era partiti. Ma queste sono le regole e chi lascia qualcosa al campo, non solo non la troverà più ma viene penalizzato da trenta minuti in su, come accade ad una ragazza olandese che perde la terza posizione proprio per questo motivo.

Fino a tarda sera, quando quasi tutti sono già a dormire, non espongono neanche la lista dei primi 50 che partiranno due ore dopo rispetto al gruppo l’indomani. Questo è un fatto molto strano perché si tratta pur sempre di una gara competitiva.

Fortunatamente sono cinquantacinquesimo e non sono nella lista, per cui potrò partire con la prima ondata alle 6:00 e beneficiare delle ore più fresche. Questo mi rincuora e mi sprona a fare del mio meglio.

Stranamente il giorno dopo mi sento in forma. So che è in questa tappa in linea da 82,2 Km e 690 m D+ che “comincia” la gara. È un po’ come se le prime tre tappe fossero state solo un buon allenamento in preparazione dell’appuntamento odierno, ho voglia di mettermi in gioco e di confrontarmi con gli altri corridori. 

Voglio partire davanti questa volta e Simone mi augura “buona caccia”. In fondo sono qui per lui e glielo devo. Parto deciso senza guardarmi intorno, voglio creare la mia “bolla” e guardare solo avanti. 

Il percorso è molto vario, passiamo attraverso alte dune di sabbia rossa dove siamo costretti ad arrampicarci con l’aiuto delle mani, spingendo solo sui piedi si resta sul posto. Attraversiamo praterie desolate dove ogni forma di vita sembra impossibile, corriamo su single track disegnati dal passaggio degli animali per stare all’ombra di una collina. Vediamo allevamenti di cammelli e qualche resto di antiche fortezze praticamente inghiottite dalla sabbia.

Per la prima volta da tanto tempo sento che il mio corpo reagisce bene agli stimoli della mia mente e dell’ambiente. Per la prima volta da tanto tempo sento “la musica” che stranamente, forse influenzato dalla lingua degli organizzatori, è in francese. La canzone che mi ripeto continuamente in testa è “Alors on Danse” di Stromae, non proprio l’hardrock che immaginavo ma la frase “Et là tu te dis que c'est fini….Quand y en a plus et ben y en a encore” (E poi ti dici che è finita... Quando non c'è più niente, beh, c'è ancora dell'altro) si adatta perfettamente alle ultra.

Saranno lo zaino più leggero e la voglia di mantenere la terza posizione di squadra ma mi muovo bene adattandomi al terreno che incontro, raggiungendo i primi che sono partiti con me alle 6:00. Circa al quarantesimo chilometro mi supera ad una velocità supersonica Rachid Elmorabity, l’imbattibile atleta marocchino che quest’anno vincerà la MdS per l’undicesima volta. In pratica in 40 km mi ha recuperato un’ora e mezza. Mi ricordo di lui nell’edizione del 2018 dove avevo cercato di seguirlo per un breve tratto per studiare la sua tecnica sulle dune dove sembra muoversi come quegli insetti che con piccoli passi riescono a galleggiare sull’acqua, lui galleggia sulla sabbia mentre io sprofondo fino alle ginocchia.

Non voglio voltarmi indietro per farmi influenzare ma mi aspetto che i primi 50 in classifica mi passino a breve. Invece stranamente passa più di un’ora prima che il fratello di Rachid e un altro concorrente mi raggiungano.

Come quasi sempre accade, basta un piccolo dettaglio per ribaltare una situazione ideale.

Al ristoro del cinquantaquattresimo, inaspettatamente, oltre alla solita acqua c’è un piccolo banchetto con dei datteri e della frutta secca e ne prendo una manciata che mangio mentre riparto. Trovare del cibo in una situazione di scarsità come al quarto giorno della MdS sembra un’occasione da non perdere ma dopo qualche chilometro sento che qualcosa non torna e il mio stomaco comincia a non funzionare più come prima.

Temevo molto questo tipo di problema che è quello che ha rovinato quasi tutte le mie gare. Mi trovo tra due ristori, non riesco più a bere né ad alimentarmi, sono solo, sono le 13 e non c’è un filo d’ombra o un posto dove fermarsi a riposare. 

Comincio a pensare che tutti i miei calcoli, tempo, velocità e posizione stiano saltando in aria. Non ho nessuna via d’uscita. Sono costretto a camminare, un paio di concorrenti mi superano, per spirito sportivo li incito ma vedo l’arrivo allontanarsi sempre più. Mentre mi trascino in un rettilineo infinito verso il nulla, quando tutto sembra finito, con un guizzo di lucidità in mezzo a mille pensieri negativi mi ricordo della Death Valley durante la Badwater e ridimensiono la situazione. Ci saranno almeno dieci gradi in meno che in quella situazione e peggio che lì non può andare, sono ancora in una buona posizione, se alterno cammino e corsa posso ancora farcela. E così faccio, cercando di liberare la mente dai pensieri peggiori. Lentamente il rettilineo finisce e arrivo al ristoro successivo, so che non devo fermarmi, faccio un rifornimento veloce e mi costringo ad andarmene subito. 

Mi concentro sulle bandierine da seguire, devo riprovare a correre ma ho paura che la situazione peggiori e di disidratarmi. Mi accodo ad un ragazzo che mi raggiunge, stacco il cervello e lo seguo come un’ombra. Quando comincia a camminare, tengo duro e continuo a correre. So che sto andando in rosso, bevo poco e non riesco a mangiare ma tengo duro. Fortunatamente anche per gli altri concorrenti la situazione deve cominciare ad essere difficile perché mi sembrano rallentare. Vedo in lontananza che la distanza tra me e loro rimane la stessa. È il momento di raggiungerli dopo tutta la fatica che ho fatto per superarli all’inizio. Nella tasca laterale dei miei pantaloncini trovo l’ultimo gel, provo a prenderne un sorso e sembra andare giù. Quando mancano circa 15 chilometri vedo in lontananza il campo e l’arrivo di tappa. 

In un ambiente quasi infinito come il deserto può succedere di vedere l’arrivo anche quando è molto lontano. Comincio a pensare che posso farcela. Ho ancora due concorrenti a vista e mi concentro su di loro. Fa molto caldo e quando il vento non è contrario sento che sto sudando ma penso anche che se sto sudando vuol dire che non sono ancora disidratato. Faccio un breve calcolo e penso che in meno di un’ora e mezza posso essere all’arrivo. So che sto intaccando le mie ultime riserve. Cerco di non pensare alle due tappe che ancora ci mancano nei giorni seguenti. Le energie rimaste non sono molte ma dovrei arrivarci e penserò dopo alle conseguenze. 

Corro con tutte le forze che mi sono rimaste e a qualche chilometro dall’arrivo supero i due che mi avevano passato e vedo uno dei primi in classifica seduto che cerca di chiamare i soccorsi con il tracker GPS, gli faccio vedere il bottone che deve schiacciare e mi dice di andare. Alcune dune di sabbia mi separano dall’arrivo, cerco di concentrarmi sul percorso migliore per affrontarle, ormai ho capito che c’è sempre un punto dove la sabbia è più consistente ed è lì che conviene correre. Manca poco, sono esausto ma continuo a spingere con “la musica” in testa fino allo striscione che mette fine alla tappa. Non so come sia andata la tappa perché anche questa volta la classifica non viene esposta, ma sono contento di come ho corso la mia.

Non nascondo che arrivare al campo quando non c’è quasi nessuno, complice anche il fatto che i primi cinquanta sono partiti un’ora e mezza dopo, è una sensazione molto gratificante e mi permette di godermi in solitudine i minuti che mi ci vogliono per riprendermi dallo sforzo. Deposito lo zaino, mi tolgo le scarpe, le calze e la maglietta, mi trovo un posto all’ombra nella nostra tenda, mi sdraio e mi godo il vento che l’attraversa. È un momento bellissimo. Il campo è deserto e silenzioso, i concorrenti arrivano ancora singolarmente a qualche minuto uno dall’altro, quando passano davanti alla nostra tenda ci facciamo i complimenti a vicenda, consapevoli di aver terminato la parte più difficile della gara. I chilometri dietro le spalle sono quasi 190 e quelli da fare meno di 70. 

Tutto assume un’altra dimensione.

I miei compagni di squadra arrivano in ordine sparso, prima Luca che voleva ritirarsi ma a cui, evidentemente, il trattamento nella vasca ha giovato e poi Floriano che andato bene nelle prime tre tappe ha avuto ora qualche difficoltà ed arriva insieme a Simone che, sempre con il suo spirito collaborativo lo ha aiutato a concludere la tappa.

Ora ci aspetta un giorno di meritato riposo che serve invece a chi cammina a completare la tappa più lunga. L’atmosfera al campo è più rilassata e oltre ai soliti 5 litri di acqua giornalieri ci viene offerta una lattina di Coca Cola. Una delle più buone della mia vita.

La fame si fa sentire ma dobbiamo stare attenti a non eccedere, intaccando le scorte necessarie agli ultimi giorni. Lo avevo già notato ma dopo qualche giorno di scarsa alimentazione lo stomaco si rimpicciolisce e ci basta mangiare poco per sentirci pieni e sazi. 

Le nostre buste di AKTA continuano a fare il loro lavoro e mi sembra che le forze non mi manchino.

Rispetto alla frenetica vita “normale” quella che viviamo qui, nonostante i chilometri corsi, mi lascia più energie del previsto, sono meno stanco e ho meno esigenze di dormire.

Alla sera comunicano solo la lista dei primi 50 che partiranno un’ora e mezza dopo ma non ci fanno vedere la classifica fino alla mattina, pochi minuti prima della partenza. 

Abbiamo un discreto vantaggio sulla quarta squadra e sono terzo di categoria a pochi minuti da un australiano di cui cerco di memorizzare il numero di pettorale per tenerlo d’occhio. In una tappa da 42,2 km e 424 m D+ non mi preoccupa partire dopo, così mi godo i soliti preparativi pre-partenza con calma e approfitto dei bagni (l’unico posto dove poter stare seduti!) senza l’ansia degli altri in coda fuori dalla latrina.

Sulla linea di partenza siamo in pochi rispetto alla solita folla degli altri giorni. Individuo subito il concorrente australiano e mi metto a ruota subito dopo la partenza. Credo che anche lui mi abbia notato perché continua a guardarmi. Nelle gare capita spesso di avere un avversario di riferimento e nelle fasi iniziali di studiarsi a vicenda per capirne i punti deboli in salita, piano o discesa, se stia trattenendosi o se stia tirando fin dall’inizio.

Mi sento bene e voglio provare a vedere se riesco ad aumentare il distacco tra noi. Ci guardiamo un’ultima volta e allungo. In poco tempo non lo vedo più dietro di me. Mi concentro sull’idratazione anche se al quinto giorno il mio corpo si è adattato e le mie necessità si sono ridotte, sto particolarmente attento all’alimentazione che è il mio tallone d’Achille. 

Il mio piano sembra funzionare alla perfezione, continuo a recuperare posizioni senza cali di rendimento.

È una sensazione che non provavo da parecchio. Quando sei in forma e corri con i primi è molto diverso, è come se il tuo corpo si trasformasse in qualcosa di inaspettato, diverso. Scherzosamente, mia figlia prima delle gare mi chiede sempre se mi trasformerò in “un razzo missile”, anche se io non sono mai stato veloce. Era tanto che non mi sentivo così ed è bellissimo, spingo fino al limite e alla fine arrivo venti minuti prima del mio amico australiano, recuperando qualche posizione anche nella classifica generale.

L’ordine di arrivo dei miei compagni si alterna nuovamente: Floriano si è ripreso anche grazie al cibo che gli ha offerto Simone, che ha avuto un andamento regolare. Mentre è Luca ad aver avuto qualche difficoltà in questa tappa. 

Comunque siamo sempre terzi!

Tutti ridiamo e scherziamo mentre consumiamo le ultime porzioni di cibo rimaste. La fame comincia a farsi sentire! Probabilmente a causa dell’aumento del ritmo in queste ultime due tappe il mio consumo è stato maggiore e il mio stomaco brontola impedendomi di dormire.

Con l’ultima colazione lo zaino è praticamente vuoto e sembra di non averlo neanche sulle spalle.

Solo una mezza maratona (21,1 km e +202 m D+) ci separa dal traguardo, studiando la mappa abbiamo intuito che si parte con tre chilometri di dune e che si finisce con sei chilometri sempre di dune. Qui non ci sono calcoli da fare bisogna partire a tutta e finire a tutta.

Cerco di non pensare a nulla e di visualizzare l’arrivo, la gioia, il pullman che ci riporterà alla civiltà e lo spuntino offerto dall’organizzazione.

Riesco ancora a spingere sulle prime dune, mi accorgo di non aver fatto partire il GPS, non mi fermo al primo ristoro, cerco di mantenere la più alta velocità che riesco nel lungo prima dalle dune successive, salto anche il secondo ristoro centellinando l’ultimo gel che mi è rimasto. L’attraversamento dell’ultimo “Erg” (banco di dune) che ci separa da Merzuga, dove è posto l’arrivo, non è banale. Le dune sono alte e invece di rimanere sul filo delle stesse continuiamo a salire e a scendere in picchiata, il traguardo sembra non arrivare mai. 

Non ne ho più, faccio molta fatica nelle risalite sulla sabbia che mi sembra la più molle di sempre, assorbendo la poca forza che mi è rimasta. La mia respirazione è accelerata, il cuore batte più forte del solito, per mettere in circolo quella poca energia che è rimasta, ma sento lo speaker e so solo che prima o poi questi sali e scendi finiranno e vedrò l’agognato arco della fine. Sento anche le urla del pubblico che ci sta aspettando, ormai ci sono, un’ultima salita e lo vedo, i primi diciassette corridori sono ancora tutti lì. 

Sprinto come se fosse l’ultima corsa della mia vita perché questa è pur sempre una gara e la voglio onorare fino in fondo.

Come sempre l’arrivo è una liberazione, tutta la tensione accumulata svanisce come d’incanto e un sorriso ebete si disegna sulla mia faccia. Sento l’odore di ammoniaca nelle narici quando inspiro, vuol dire che ho dato tutto.

Le foto di rito non mi interessano, tiro fuori l’action cam e torno indietro di corsa fino all’ultima duna, non mi voglio perdere l’arrivo dei miei compagni. Li vedo arrivare uno ad uno con la loro divisa bianca, ormai sporca di tutto, con gli occhi lucidi pieni di gioia e li riprendo tutti e tre, emozionandomi più per il loro arrivo che per il mio. 

Simone è così soddisfatto che è quasi triste che sia finita. Torno indietro e ci abbracciamo tutti e quattro sotto il traguardo della trentanovesima Marathon des Sables.

Forse avrei anche potuto osare un po’ di più nelle prime tre tappe ma le incognite nella mia testa erano tante. Mi sono divertito come non mi capitava da parecchio tempo ed è stata un’altra importante esperienza di vita.

Quanto mi manca quella meravigliosa sensazione di libertà che solo gli spazi infiniti del deserto in autosufficienza sanno dare.

(Quasi) tutte le foto sono di Giulia Bertolazzi

Attrezzatura:

- Zaino DangerGrizzly  (28L - 480 gr.) co-prodotto con Wild Tee e il Centro Ricerche Diadora

- 1 Manica Lunga in tessuto Race “Not Now”

- 1 T-Shirt in tessuto Road “Not Now”

- 1 Everglades Shorts “Mint”

- 2 paia di mutande

- 3 paia di Rockies Bianche/Nere

- 1 Endurance Hat “Not Now”

- 1 Veletta Sahariana “Not Now”

- 2 Bandane “Trail is Metal”

- 1 Occhiali da sole polarizzati Wild Tee x Rudy Project “Astral S Gradient Purple”

- 1 Paio di Scarpe Diadora Sestriere 2 con ghette Wild Tee, sapientemente confezionate da Marco Zanchi

- 1 Lampada frontale Petzl IKO con pile di ricambio

- 3 Soft Flask (500 ml) DangerGrizzly

- 1 Paio di ciabatte “personalizzate” Wild Tee

- 2 Pacchetti di fazzoletti di carta

- 2 Pacchetti di salviettine disinfettanti

- 1 Sacco a pelo Estivo Nordisk “Passion One” (12°C, avrete freddo ma è leggerissimo)

- 1 Materassino THERMAREST NeoAir Xlite

- 1 spazzolino 

- 1 Tubetto di Marvis alla Menta

- Tappi per le orecchie

- 10 mini-asciugamani pressati

- Sapone in scaglie (grazie Simo)

Alimentazione:

- 12 Buste di cibo liofilizzato AKTA (125 gr. l’una)

- 3 Pezzi di Grana Padano (80 gr. l’uno)

- 3 Buste di Beef Jerky (40 gr. l’una)

- 3 Pezzi di Carne secca (70 gr. l’uno)

- 3 Pezzi di pesce secco (50 gr. l’uno)

- 1 Busta di frutta disidratata (100 gr.)

- 6 Buste di muesli per colazione (110 gr. l’una)

- 8 Barrette Maurten Solid 160 (55 gr. l’una)

- 4 Gel Maurten 160 (65 gr. l’uno)

- 3 Gel Maurten 100 (40 gr. l’uno)

- 3 Gel Maurten 100 CAF 100 (40 gr. l’uno)

Materiale Obbligatorio:

- 1 Telo termico

- 1 Accendino

- 1 Specchio

- 1 Tazza

- 1 Bussola

- 10 Spille

- 1 Coltello

- Crema solare

- Disinfettante

- 12 dadi da cucina

- 1 fischietto (incluso nello zaino)

- 200€ in contanti

- Passaporto

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