BRYCE CANYON 100M - 160 KM 6.000 M D+

BRYCE CANYON 100M - 160 KM 6.000 M D+

Storie Gare

BRYCE CANYON 100M - 160 KM 6.000 M D+

Meno male che non mi hanno preso alla Western State, perché mi sarei perso una gara stupenda.

Mi sono fidato a scatola chiusa del direttore di gara Matt Gunn, che nell’organizzare questa prima edizione ha dimostrato la sua grande passione per questo sport con continui cambiamenti di percorso (anche all’ultimo momento) al fine di migliorarne il percorso in tutti i modi, anche se il dislivello positivo è passato dagli iniziali 3600 metri agli attuali 6.600.

Fin dal ritiro pettorale, in un campeggio all’aperto, si respira l’atmosfera tipicamente americana degli amanti dell’outdoor. Mentre sono in fila osservo gente con maglie di gare leggendarie predisporre le proprie drop bags super organizzate per le varie aid stations. Alcuni hanno anche crew e pacer. Io ho i miei tre sacchi della spazzatura con le poche cose di cui penso di avere bisogno.

Bryce Canyon 100 M

Con un po’ di fortuna riusciamo a conquistare uno dei quattro posti nel campeggio nel bosco a un chilometro e mezzo dalla partenza. Un posto unico e solitario dove sembra di essere già sul tracciato di gara.

Bryce Canyon 100 M

Quando esco dalla porta del camper nel buio della notte, fa ancora freddo e non vedo nessuno che si dirige alla partenza. Vuoi vedere che, anche nello Utah, c’è un ora di fuso orario come in Arizona rispetto al Colorado? Meglio affrettare il passo. Poco dopo, per fortuna, con le pulsazioni già a mille, comincio a vedere le luci delle lampade frontali dei concorrenti radunate intorno ad alcuni bracieri. Niente luci, microfoni e striscioni, neppure la linea di partenza, Matt sale su una roccia e ci augura buon divertimento. Comincia così il mio viaggio. Centosessanta chilometri sono un vero e proprio viaggio con qualsiasi mezzo di trasporto lo si affronti, tanto più a piedi.

E’ la mia prima esperienza sulla distanza, le incognite e le variabili sono così tante che cerco fin da subito di concentrarmi sul mio ritmo invece che sugli altri concorrenti, la classifica o il risultato, anzi sono contento che in mezzo a noi, ci siano anche gli atleti della gara da cento chilometri che mi impediscono di capire la mia posizione.

Bryce Canyon 100 M

La prima parte della gara, aggiunta in una delle ultime modifiche, è qualcosa di eccezionale. Quando l’alba ci raggiunge, siamo immersi in un morbido saliscendi tra canyon di terra rossa punteggiati dagli hoodoos, le tipiche conformazioni rocciose che hanno reso famoso il Bryce Canyon. Con gli occhi umidi dalla felicità, continuo a scattare foto che tento di postare per cercare anche parzialmente di condividere tanta meraviglia della natura.

La prima aid station si chiama Thunder Mountain e con un nome così evocativo non ci metto molto a capire perché, quasi tutti gli alberi qui intorno sono anneriti dai fulmini.

Bryce Canyon 100 M with Matt Guun

Procedo con un piccolo gruppo di cui fa parte anche il giornalista di iRunfar e atleta Bryon Powell, ma mi scuso subito se non intervengo nella loro conversazione, ma non riesco a correre, riempirmi gli occhi del paesaggio e parlare, anche, inglese.

Bryce Canyon 100 M

Fa ancora fresco ma so che presto finirà, così all’aid station di Proctor Canyon lascio l’attrezzatura notturna nel mio sacchetto. Se i miei calcoli sono corretti la ritroverò nel ritorno verso le 21. Correre qualche rischio a volte è un ottimo stimolo, infatti, ripasserò di qui poco dopo le 21.

Bryce Canyon 100 M

Il contrasto tra il bianco dei trochi delle betulle e il verde acceso delle foglie che stanno aprendosi mi accompagna in bellissima discesa sulla quale non riesco a resistere e me la corro a tutta lasciando il mio gruppetto. Poco dopo mi accorgo che non ci sono più i segnali del percorso. Siccome, sono un professionista degli errori di percorso, mi fermo e torno indietro, anche se ci sono numerose impronte, fresche, di scarpe da trail sul percorso. Mai che si sbagli percorso in salita, sempre in discesa. Così mi metto a correre in salita, quando in senso opposto incrocio alcuni concorrenti che sostengono essere la strada giusta, con troppo poco fiato in gola per oppormi li seguo nuovamente in discesa. Dopo circa un chilometro incontriamo i primi della cento che risalgono. Non è per il tempo perso su e giù (esiguo sul totale della gara) ma per le energie sprecate che mi preoccupo. Voglio riguadagnare la sicurezza del percorso segnato, prima possibile, così saluto i miei compagni di sventura e corro nuovamente in salita. Cerco di spingere il più possibile per capire quanto ho perso, ma ora si ricomincia a salire verso i 2700 metri e la fatica e la quota (sempre sopra i 2200 m) cominciano a farsi sentire. Recupero fino alla terza posizione, quando cerco di stabilizzare la mia andatura e alimentarmi per recuperare l’extra sforzo. Mi sembra già un ottimo risultato, tanto più che davanti ci sarà sicuramente Joseph Czabaranek (28 anni, 14h 47’ su 100 miglia).

Le aid stations sono state affidate ad associazioni, società o famiglie. Quella di Kanab Creek è gestita dal Pine View High School cross country team che con il loro giovane entusiasmo mi aiutano nel mio breve momento di ristoro, così non posso lasciarli senza ringraziarli e salutarli con un eufemistico “ci vediamo tra poco”.

Pur essendo interamente al di fuori del parco nazionale, il percorso ci porta a scoprire angoli e scorci di rara bellezza. A volte uscendo dal bosco si corre sul bordo di un precipizio che termina in un enorme arco di roccia rossa che ti toglie il poco fiato rimasto a 2800 metri.

Bryce Canyon 100 M

Poco prima di arrivare a Crawford Pass, giro di boa delle cinquanta miglia, incontro il primo e il secondo concorrente. Mi sembrano molto freschi nella loro corsa in discesa mentre io arranco in salita congratulandomi per il loro “ottimo lavoro”. Riesco a stimare in circa dieci e cinque minuti il loro vantaggio, così come stimo in circa dieci minuti il mio vantaggio sul quarto e il quinto che procedono appaiati. Meglio non pensare troppo al tempo perso a causa dell’errore di percorso perché la gara è ancora lunga.

Cerco di ridurre al minimo il mio tempo di sosta ai ristori tanto più che come sempre vado a pane, acqua e gel ed è inutile fermarmi a guardare i burritos al formaggio o le tortillas con il bacon (il New Mexico non poi così lontano).

Tutti i concorrenti che incontro in senso inverso al mio si congratulano e mi danno “il cinque” ma sarò io che ammirerò loro, infinitamente, quando arriveranno il giorno dopo al traguardo sorridenti.

Bryce Canyon 100 M

Ai ristori mi comunicano che il distacco con il secondo si sta riducendo, ma preferirei non saperlo, la gara è ancora lunga e tutto può succedere.

Il sole comincia a scendere sull’orizzonte colorando ancora di più di arancione le rocce dei canyons. Il vento è sempre forte e le fredde raffiche mi ricordano che siamo sempre in quota.

Bryce Canyon 100 M

Raggiungo definitivamente il secondo a un ristoro dopo qualche chilometro a vista. Vedo che si siede e comincia a togliersi le scarpe, così decido di ripartire subito.

Cerco di non farmi prendere da facili entusiasmi e procedo con il mio passo, ma mi accorgo che riesco ancora a spingere bene in salita. Manca ancora una maratona quando intravedo Czabaranek, che denota una certa apprensione continuando a voltarsi verso di me. Decido saggiamente di stargli dietro e vedere cosa succede. Nella discesa più tecnica del percorso vedo che si ferma e poi riparte un paio di volte, forse ha problemi di stomaco, penso. Lo raggiungo, potrei passarlo velocemente ma mi sembra in difficoltà. Anche se concorrenti a questo punto di un lungo viaggio condiviso si è anche un po’ fratelli, così gli chiedo se vuole procedere insieme a me. Con un timido sorriso accetta ma poi si ferma di nuovo, lo aspetto, cercando di rassicurarlo dicendogli che l’aid station non è lontana, ma mi dice di andare che lo sa.

Ora sono solo, senza punti di riferimento. Cerco di recuperare la mia tabella di marcia. La frontale, a scanso di equivoci, ce l’ho già in testa, ma devo recuperare giacca e buff al prossimo ristoro.

D’ora in poi, la gara perde di significato e conta solo il viaggio.

Un viaggio nella notte assoluta punteggiata da milioni di stelle e dagli occhi dei cerbiatti che mi guardano incuriositi.

Bryce Canyon 100 M with Matt Guun

Bryce Canyon 100 M

BONUS TRACK

Sulle tracce dei corridori americani

Quando ero piccolo e non sapevo ancora nulla della vita, sognavo di mettere tutte le mie cose e la mia bici in un furgone e di girare il mondo. Poi come spesso succede a tanti sogni, anche questo è stato accantonato fino a quando, io e Irene abbiamo deciso, dopo dieci anni di convivenza e 2 figli, di sposarci. Anche se sono passati più di vent’anni poteva essere l’occasione buona per tirare fuori dal cassetto il vecchio sogno e girare un po’ gli Stati Uniti in camper con la famiglia.

Così, siamo partiti per Denver (Colorado) alla ricerca delle tracce dei grandi corridori americani, quelli che hanno scelto di vivere attribuendo una valenza fondamentale alla corsa in natura. Il camper ci ha permesso di fermarci nei posti che più ci piacciono e soprattutto di rimanere in contatto con la natura incontaminata dei grandi panorami americani. Volevamo assaporare almeno un po’ di quella “nomad life” che ha attratto così tanti amanti dell’outdoor.

Abbiamo dormito in posti talmente isolati, accolti da una natura talmente pura, che il silenzio, il sole, il vento e il buio diventano assoluti e rivelano tutta la loro essenza. Non siamo abituati ad avere a che fare con spazi così immensi senza che abbiano subito qualche intervento umano.

Sono nato e cresciuto in città e mi rendo conto di scrivere cose banali per chi è abituato alla montagna, ma non avere una cultura specifica mi ha permesso di scoprire certe sensazioni non filtrate da esperienze precedenti.

Il primo contatto con le montagne rocciose è qualcosa che ti segna per sempre. Il tramonto dal campeggio di Buena Vista sarà difficile da scordare. E’ come se il mondo si fosse spostato 2000 metri più in alto, di fronte a noi si stagliavano numerose vette alte più di 4000 metri ma sembra di poterle raggiungere facilmente. Ora, capisco perfettamente Anton Krupicka e Joe Grant e il loro voler scalare in velocità il maggior numero di 14ers del Colorado. Dei settanta 4000 metri del continente US, ben cinquantaquattro sono in questo stato.

Solo al mio rientro in Italia, ho scoperto che Tony ha tentato  di realizzare, senza successo, il “fastest known time” (più veloce tempo conosciuto) sulla via denominata Nolan14 che unisce ben quattordici 4000 su una distanza di cento miglia, partendo proprio da Buena Vista.

In seguito siamo passati da Ouray, dove Dakota Jones ha cominciato a correre e da Telluride, dove ha deciso di organizzare la sua prima gara, infine da Crested Butte dove è cresciuta Stevie Kramer. Qui le montagne sono più ripide, impegnative e comprendo perfettamente da cosa derivino le straordinarie capacità di corsa in montagna di Stevie.

Mi piace immaginare la storia di queste persone e capire quanto l’ambiente naturale in cui sono cresciuti abbia influenzato le loro abitudini di vita.

Seguendo il fiume Colorado, come filo conduttore del nostro viaggio, siamo passati dal Colorado allo Utah.

Ci siamo fermati a dormire a Gooseneck proprio sul bordo del canyon in cui il grande fiume forma due enormi anse, che assomigliano al collo di un’anatra. Correre sul bordo del canyon al tramonto mi ha riempito d’ebbrezza. Se ci andate prendete il sentiero, quasi impercettibile, che parte dalla destra del piazzale guardando il canyon e segue il morbido movimento del fiume e non ve ne pentirete.

Correre tra le cattedrali di pietra rossa della Monument Valley, é stata una sensazione incredibile. Sembrava di essere in un film western e che da un momento all'altro potessero spuntare gli indiani a cavallo.

Passando per Page (Arizona) casualmente nel corso di una passeggiata siamo capitati nuovamente sul bordo di un canyon formato da un'ansa del Colorado. Rileggendo una delle prime interviste a Timoty Olson, ho scoperto che anche lui si era fermato a correre in quel posto durante il viaggio intrapreso verso la disintossicazione da alcool e droghe.

In pochi chilometri quadrati una così alta varietà di conformazioni geologiche ha reso possibile paesaggi completamenti diversi tra loro.

Dal deserto rosso dell'Arizona si passa alle conformazioni rocciose dello Zion National Park. Se fin ora le mie corse sono state delle brevi esplorazioni mattutine o serali completamente fuori dalle piste segnate, nello Zion ho percorso alcuni tra i più famosi trail d'America. L'impegnativo Angel Landing, dal nome così evocativo, rende bene l'idea del parco. Uno dei più bei trail che sia riuscito a fare, però, è quello che dallo Zion Ponderosa Ranch (parte alta del parco) porta a Cable Mountain, una vecchia teleferica abbandonata. Il trail termina sul ciglio di un precipizio di settecento metri da cui si ha una delle viste più belle dell'intero parco.

Per mancanza di tempo, posso solo sognare, sulle mappe del parco, la famosa Zion Traverse, resa famosa dalla percorrenza in un tempo record dell'atleta Krissy Moehl. Quanto mi piacerebbe poter tentare di realizzare il mio miglior tempo.

In ogni località cerco d’immedesimarmi nel contesto naturale dove mi trovo e d'immaginare i record e le imprese dei grandi trail runners americani.

Ho lasciato anch'io, nel mio piccolo, una piccola traccia partecipando alla prima edizione della cento miglia del Bryce Canyon. Ci tenevo molto a correre la mitica distanza che caratterizza tutte le più importanti gare trail americane. Devo ammettere che le lunghe passeggiate dei giorni precedenti con mia figlia Cecilia di tre anni sulle spalle sono stati un ottimo allenamento. Infatti, nonostante l'altitudine (tra 2200 e 2900 s.l.m) sono riuscito a correre in perfetto stile yankee, veloce e leggero. Questo mi ha aiutato a capire il bisogno, di molti corridori americani, di correre leggeri per viaggiare alla ricerca di quella sensazione di libertà in cui tutto diventa possibile.

Dopo il magico Bryce Canyon con i suoi rossi pinnacoli (Hoodoos) che sembrano i giochi di sabbia di tanti bambini giganti, ci siamo spostati a Moab, la capitale del divertimento outdoor dell'Utah. Ci siamo fermati in un campeggio in città ma ben presto ci siamo resi conto di aver perso completamente l'abitudine alla vita civilizzata e che ci mancavano i territori incontaminati in cui lo sguardo può spaziare fino all'orizzonte. Saranno state le venti ore a correre immerso nella natura del Bryce Canyon, ma mi sembrava di soffocare. Dopo una sola notte abbiamo deciso di spostarci all'interno del parco nazionale del Canyonlands. Il posto è meno conosciuto del più noto parco degli Arches, ma di rara bellezza. Ci siamo accampati nella località Island in the sky, una lingua di terra sospesa su un altipiano creato da uno strato di roccia più dura, 400 metri più basso, a sua volta sospeso su due enormi canyons, 400 metri ancora più in basso, formati dall'intersezione dei fiumi Colorado e Green. Il posto ci regala uno dei tramonti più imponenti mai visti. Finalmente, ho potuto riprendere le mie corsette esplorative serali e mattutine. Correre in posti che non conosco è sempre un esperienza unica. Seguo l'istinto nel cercare un percorso dove non ci sono tracce con tutti i sensi in allerta e magari mi trovo all'improvviso sul bordo di un canyon. Lo spavento e la vista mi tolgono il fiato e rimango estasiato con gli occhi lucidi ad ammirare la grandiosità della natura fino a quando il mio respiro non ritorna normale. Non lontano da qui c'è il canyon reso famoso dall'incidente accaduto ad Aron Ralston da cui è tratto il celebre film 127 ore. In questo momento capisco perfettamente lo spirito di avventura che lo ha condotto nella difficile situazione che lo ha costretto ad amputarsi un avambraccio per potersi salvare.

Ci sono ancora così tanti panorami di cui riempirsi gli occhi, ma dobbiamo proseguire il nostro viaggio. Voglio assolutamente cercare di capire come mai così tanti runners hanno deciso di insediarsi proprio a Boulder.

Ci mettiamo veramente poco a capirne il motivo. Boulder é una cittadina meravigliosa, a misura di gente sportiva, situata ai piedi delle montagne rocciose. Ci sono piste ciclabili ovunque ed è attraversata da un fiume navigabile in canoa e con i copertoni. Boulder è inoltre sede di una delle migliori università americane, con la particolarità di essere pubblica e non privata come la maggior parte. E’ possibile comprare ottimo cibo di origine biologica e il sabato si tiene un mercato dove sono gli agricoltori direttamente a proporre i propri prodotti di stagione. Ma è nei dettagli che si vede lo stile di un posto. A Boulder chiunque può noleggiare una bici da corsa con telaio in carbonio o una mountain bike da competizione e diversi distributori automatici hanno gel e barrette energetiche al posto delle solite merendine. Tutto in città è finalizzato alla vita sportiva. A Boulder tanti corrono, ma quasi tutti fanno trail ed è verosimile che mentre pedalate sulla pista ciclabile qualche amabile vecchiettina con pantaloncini in lycra vi superi guidando una bici da corsa.

Dal Chautauqua, il principale parco della città che si affaccia sugli iconici Flatirons (5 enormi lastre di roccia che sembrano conficcate nel terreno) partono più di 80 chilometri di percorsi nella natura. So bene che non dovrei a quattro giorni da una cento miglia, ma come si fa a resistere a non correre “a tutta” la salita e la discesa al Mt. Green? Il monte rappresenta una sorta di mitico santuario del trail. Tony Krupica vi sale più di 200 volte l'anno (infatti, lo incontro anch’io che scende dalla via denominata Saddle Rock), tutti i più forti atleti della zona vi si allenano e gli abitanti di Boulder di tutte le età calpestano i suoi sentieri. Il confronto dei dati GPS su Strava conferma la mia teoria sui corridori americani. Molto veloci in salita e un po’ meno in discesa. Anche se ancora un po’ affaticato, ho ottenuto il nono tempo sulla salita al Monte Green, ma il secondo tempo in discesa, dietro solo al velocissimo e giovanissimo Sage Canaday.

Correre nei grandi paesaggi americani rappresenta la migliore espressione del correre l'avventura. Esplorare il mondo alla ricerca dell'essenza stessa del trail, realizzando uno sforzo che ti permetta di arrivare all'essenza del piacere di correre in natura seguendo il bisogno di libertà. La corsa non é un fine ma il mezzo per entrare, con la fatica, in comunione con l'ambiente, un viaggio fisico, mentale e spirituale nel quale bisogna essere pronti a sapersi sorprendere di fronte alla magnificenza del paesaggio che si scopre lungo il cammino.

Ci ho messo quarant’anni a capire cosa mi piace fare, ma alla fine l’ho capito. Meglio tardi che mai.

Irene mi ha detto che se scappo da casa sa, perfettamente, dove trovarmi, a Boulder!